PIETRE MILIARI è una collana di Le due rose. Editore nata con l’intenzione di mettere in prospettiva tagli di analisi sia editi e dimenticati sia inediti, che offrono vie – poco battute, eterodosse, talora drammatiche – per comprendere, risalendo all’indietro o squarciando in avanti, i tortuosi passaggi della dissoluzione di un ordine della civiltà.
La storia politica europea – e nell’ultimo secolo mondiale – ruota da quasi quattrocento anni (l’evento originario è per generale convenzione la pace di Westfalia del 1648) intorno al nesso fra i sistemi degli stati, che regolano i rapporti di forza – soprattutto militari – fra le potenze, e la globalizzazione che collega i vari luoghi toccati (e arricchiti) dal commercio di largo raggio in crescita, grazie a innovazioni tecnologiche e contabili, a partire dal XIII-XIV secolo (quando si avvia l’ascesa dell’Occidente).
L’integrazione diffusa dei mercati mostra un elemento in piena luce, la creazione di ricchezza, e un altro più oscuro, però di pari importanza, che è l’uso della forza (per lo più statuale, ma non solo: si pensi alla Compagnia delle Indie): il commercio su larga scala, che si svolge per lo più via mare (ma ci sono eccezioni: l’espansione siberiana della Russia verso il Pacifico, la via cinese della seta), ha bisogno di porti, territori di influenza, alleati locali – tutti elementi per i quali le armi hanno rilievo essenziale (o come deterrenza o come impiego). Il nesso tra luce e ombra della globalizzazione lo definisce con cristallina concisione Walter Raleigh, di professione corsaro ai tempi di Elisabetta I: <<chi governa il mare governa il commercio, chi governa il commercio dispone della ricchezza del mondo, e di conseguenza governa il mondo stesso>>. Alla fine, possiamo dirlo, la globalizzazione è una dinamica che ha per posta l’esercizio del potere su grande scala.
Il sistema degli stati ha una figura speculare. Avendo come base uno spazio strutturato, dotato di pochi punti di apertura ben definiti, pone come fattore cruciale, elevato alla massima evidenza, il conflitto per la conquista di risorse limitate: la storia politica dell’Europa continentale è una storia di guerre fra potenze per l’acquisizione di un’improbabile egemonia (che ogni volta sfugge come una chimera). Tuttavia, alla base dei conflitti, quale infrastruttura decisiva per lo sviluppo della dotazione bellica, c’è la creazione di ricchezza, l’attitudine all’innovazione tecnologica.
La dinamica tra sistema degli stati e globalizzazione subisce una torsione decisiva all’inizio del Novecento, quando il novero delle grandi potenze accumula protagonisti (e spazi) fuori dai confini europei (gli Stati Uniti, che sconfiggono la Spagna conquistando in aggiunta a Cuba e le Filippine, e il Giappone, che infligge alla Russia un’umiliante disfatta navale, portano il Pacifico dentro la scena mondiale) e l’esplosione della tecnologia, che capitalizza i risultati delle rivoluzioni industriali succedutesi lungo il XIX secolo, trasforma la guerra intensificandola e portando le masse sui campi di battaglia. Con questa torsione il sistema degli stati formatosi al tempo della pace di Westfalia avvia una spirale che, attraverso lunghe sequenze dolorose e straordinarie, lo porterà alla fine.
La spirale passa per tre fasi, ciascuna con grandi complessità, punti opachi, problemi d’analisi: il periodo della lunga guerra civile d’Europa, che – fallita a Versailles la ricomposizione post-bellica – rompe il gioco secolare degli equilibri e lo ricrea in forme nuove portando le masse al centro della politica e al fianco delle dittature; il periodo della guerra fredda che dal 1946 ridetermina i contrappesi fra gli stati nella formula inedita del condominio di potenza mutuamente garantito da una enorme forza planetaria di distruzione; il periodo dei disordini che dopo il crollo sovietico del 1989-91 vede fallire l’ambizione americana di un assetto unipolare disciplinato attraverso finanza e guerre terrestri, spiana l’ascesa delle nuove potenze asiatiche con un’agenda estranea al tema degli equilibri e lascia il nuovo slancio tecnologico (la rivoluzione digitale) senza un inquadramento politico internazionale. In questo sviluppo la politica mondiale attesta, con una sregolata frammentazione piena di pericoli e una drammatica scarsità di visioni, la fine di un campo strategico che in forme molteplici aveva modellato per secoli l’ascesa della civiltà.